Foto di Gabriele Rivera e Aeronautica Militare
La Blue Flag, assurta in poche edizioni (si tiene con cadenza biennale e siamo giunti alla quarta) nel novero delle esercitazioni che, grazie ad un notevole realismo, spingono i piloti e tutto il personale coinvolto ad addestrarsi fuori dalla propria comfort zone, ha visto sempre partecipare (eccetto che nel 2015) l’Aeronautica Militare.
Quest’anno sono intervenuti contingenti da Italia, Germania, Grecia e Stati Uniti; per l’Italia hanno preso parte ben tre diverse tipologie di aeroplani, sei Typhoon del IX e X Gruppo (entrambi basati a Grosseto), XII Gruppo (Gioia del Colle) e del XVIII Gruppo (Trapani), un G550 CAEW del 71° Gruppo (Pratica di Mare) e sei F-35A del XIII Gruppo (Amendola). L’impegno logistico richiesto all’Aeronautica Militare è stato di forte impatto; gli F-35 sono atterrati a Ovda subito dopo il rischieramento effettuato in Islanda per l’operazione Northern Lighting, e gli accordi intrapresi nei mesi precedenti la Blue Flag con l’aeronautica israeliana hanno consentito di ottimizzare il trasporto di quanto necessario per la manutenzione dei velivoli. Per i Typhoon invece l’occasione ha consentito di esercitarsi anche nelle attività connesse con il rischieramento presso una DOB (Deployment Operating Base).
Le altre forze aeree hanno schierato rispettivamente sei Typhoon del Taktische Luftwaffengeschwader 71 “Richtofen” (basati a Wittmund), quattro F-16C Block 52+ Advanced del 335 Mira (Araxos) e dodici F-16CM Block 50 del 480th Fighter Squadron (Spangdahlem).
Ovviamente le forze aeree israeliane hanno rischierato assetti da diversi reparti; F-15A“Baz” del Tayeset 133 “Knight of the Twin Tail”, basati a Tel Nof, F-16I “Sufa” del Tayeset 201 “The One”, da Ramon, F-16C “Barak” del Tayeset 117 “First Jet” e gli F-35I “Adir” del Tayeset 140 “Golden Eagle”, basati a Nevatim. Da quest’ultima base provengono anche i due G550 “Nachshon” del Tayeset 122, che hanno operato in sinergia con l’omologo italiano. Infine hanno preso parte anche il Boeing 707 nel ruolo tanker, elicotteri Apache e Blackhawk e vari droni.
La Red Force è stata impersonata dagli F-16C del Tayeset 115 “Flying Dragon”, l’unità Aggressor specificatamente addestrata a replicare le tattiche adottate dalle forze aeree potenzialmente ostili, nonchè l’unico squadrone basato a Ovda, sede della Blue Flag. In diverse occasioni agli Aggressor si sono uniti gli F-35 israeliani, fattore che, come vedremo, ha significativamente innalzato la complessità delle missioni di DCA (Defensive Counterair) per la Blue Force.
Ovda si trova nel sud di Israele, a circa 80 km da Eilat; la posizione è particolarmente favorevole per una esercitazione così complessa, avendo a disposizione un’area di oltre 12.000 kmq, scarsamente abitati, su cui poter volare le missioni, anche in regime supersonico e utilizzare, se necessario, chaff e flare. Trattandosi del deserto del Negev, ricco di depressioni, quando i piloti volano BBQ (bassa e bassissima quota) si trovano spesso a leggere sui loro altimetri valori prossimo allo zero, se non al di sotto. Nonostante la vastità dell’area disponibile, durante la Blue Flag vengono imposte severe restrizioni al volo, sia per gli assetti delle basi aeree vicine che per il traffico civile.
La filosofia addestrativa della Blue Flag prevede che tutti i partecipanti, israeliani e non, siano basati a Ovda per l’intera durata dell’esercitazione; ciò consente una immersione totale di tutto il personale coinvolto, che ha modo di partecipare congiuntamente ai package briefing e ai mass briefing, per poi magari continuare a discuterne durante le pause di ristoro nell’apposito tendone-mensa allestito a poca distanza dal centro operativo dell’esercitazione. Ovviamente non mancano le occasioni di socializzazione, uno degli obiettivi della Blue Flag, facilitate dalla vicinanza di Eilat, dove alloggiano tutti gli equipaggi e gli specialisti; ricordiamo che molti equipaggi hanno partecipato anche alla esercitazione Iniochos, svoltasi in Grecia nella scorsa primavera, e questo ovviamente favorisce il rafforzamento dei rapporti umani e professionali tra i partecipanti.
Ciascuna forza aerea ha a disposizione una area della base dedicata, con gli shelter assegnati e una base operativa, dove poter analizzare con la dovuta riservatezza i risultati della missione appena conclusa, per poi riversare sulla Intranet dedicata all’esercitazione quanto ritenuto idoneo al mass briefing, condotto dal package leader, ruolo assegnato di volta in volta a ufficiali di tutti i contingenti presenti. La GCU (Ground Control Unit) del Tayeset 115 offre una sintesi completa ed obiettiva delle missioni grazie alle registrazioni della strumentazione ACMI istallata nel poligono e sugli aerei, ed è estremamente proficua la partecipazione dei controllori ai briefing, consentendo uno scambio di opinioni immediato e diretto tra loro e i piloti su quanto accaduto nel corso delle missioni, coadiuvati dai vari strumenti a disposizione, tra cui lo shot log, che registra tutti i lanci simulati di missili e la validazione delle eventuali kill.
La Blue Flag è diventata l’esercitazione più complessa organizzata in Israele (e come anticipato in apertura probabilmente una delle più realistiche al mondo); per la prima volta è stata sperimentata l’integrazione degli aerei israeliani nella rete NATO grazie all’utilizzo del Link 16 . Questa edizione ha visto un notevole incremento di complessità, legato alla partecipazione di assetti di 5a generazione, quali sono gli F-35. La presenza dell’aereo più avanzato al mondo ha presentato diverse sfide; la prima è stata prettamente logistica, essendosi reso necessario segare via sezioni di cemento degli shelter per consentire il ricovero degli aerei negli HAS (ciò a causa della maggiore altezza dei piani di coda). Risolto il problema logistico se ne sono presentati diversi altri; nonostante gli Adir e i Lightning italiani volassero con i rifrattori che ne riducono sensibilmente la stealthness (ciò per ovvi motivi di sicurezza e per non svelare dati relativi a una delle armi più importanti del nuovo aereo), le regole di gioco dell’esercitazione prevedono che gli F-35 non possano essere abbattuti da missili AA a guida radar. Questo aspetto ha notevolmente complicato il lavoro dei controllori a terra nella validazione delle kill effettuate dai piloti, nonchè una nuova sfida per gli stessi nel provare ad intercettare una incursione dell’aereo più letale al mondo.
Anche la partecipazione di una batteria Yahalom (Patriot) ha aggiunto nuove variabili alla già complicata simulazione, consentendo l’esecuzione di missioni in un ambiente elettronicamente saturo e ostile che sicuramente non ha facilitato la vita agli equipaggi presenti; la lunga portata del radar e dei missili riduce drasticamente i tempi di reazione, spingendo i piloti a volare sotto la quota che garantisce di non essere rilevati dal radar, effettuando brevi incursioni in quote appena superiori per portare a termine l’attacco.
L’esercitazione si estende su tre settimane; la prima è destinata al rischieramento dei reparti partecipanti e dai primi briefing per organizzare al meglio le missioni, che partono all’inizio della seconda settimana. Dopo i voli di familiarizzazione, che consentono ai piloti di orientarsi al meglio nel nuovo ambiente, di imparare a sfruttare le caratteristiche offerte dalla particolare orografia del Negev e di padroneggiare le procedure, segue l’ingresso in teatro: ogni package va in volo con una missione specifica e nello stesso tempo impara a riconoscere le minacce che dovrà affrontare nei giorni seguenti. I restanti tre giorni sono destinati alla Defensive Counterair, ossia tutte quelle azioni di difesa aerea mirate a proteggere gli interessi e le forze amiche, cercando di distruggere le minacce aeree dell’attaccante e in subordine a ridurre l’efficacia degli attacchi portati dagli assetti sfuggiti alle difese.
L’ultima settimana è dedicata alle missioni offensive; si inizia con l’ingresso in teatro, per poi proseguire con tre giorni di missioni SFE (Small Force Employment), ossia COMAO (COMposite Air Operations) di medie dimensioni, composte da velivoli dei vari contingenti a cui sono assegnati compiti quali localizzazione di convogli, attacchi a siti strategici, ricerca e soppressione delle difese aeree ed altro. L’obiettivo principale è esporre i piloti alle minacce che incontreranno inoltrandosi in territorio nemico, perfezionando le contromisure essenziali per completare la missione e tornare alla base. L’ultimo giorno dell’esercitazione è riservato alla missione LFE (Large Force Employment), in cui tutti gli assetti presenti vanno in volo per eseguire una missione ben più strutturata, complicata da una ridotta disseminazione di intelligence: uno dei risultati oggetto di valutazione sarà proprio la qualità delle informazioni che le Blue Force saranno riuscite a raccogliere durante la missione. Nel corso delle due settimane di piena operatività sono previste anche due sessioni di voli notturni. Ogni giorno sono previste due wave, ma i piloti volano una sola volta al giorno; il tempo richiesto dal briefing e dal successivo debriefing non lascia spazio per una seconda missione.
Per spingere gli equipaggi ad incrementare la loro reattività a situazioni impreviste le missioni prevedono un canovaccio di massima, in cui non è affatto scontato quali saranno le reazioni dell’avversario. A differenza di molte altre esercitazioni, alla Blue Flag la Red Force ha ampi margini di discrezionalità nel reagire alle iniziative delle Blue Force; il tutto, unito all’uso obbligatorio della lingua inglese in tutte le comunicazioni, spinge gli equipaggi a dover dare il massimo per riportare a casa l’aereo. Come ha sottolineato Tal Herman, uno dei coordinatori della Blue Flag già dalle precedenti edizioni, essere “abbattuti” nel corso di una missione simulata è un bene, perchè aiuta a capire cosa si è sbagliato, in modo da non ripetere l’errore durante una missione reale.
La Blue Flag si è conclusa con reciproca soddisfazione di tutte le forze aeree partecipanti; dopo circa 720 sortite effettuate dalla Blue Force (di cui un buon dieci per cento, per un totale di oltre cento ore di volo, sono state effettuate dagli assetti italiani) e circa 130 dalla Red Force, ciascuno è rientrato alla propria base avendo arricchito il proprio patrimonio personale e della forza aerea con esperienze sempre più sofisticate. La prima esercitazione in cui hanno operato F-35 di differenti forze aeree ha sicuramente prodotto dati che saranno oggetto di future analisi e che consentiranno di affinare ulteriormente l’addestramento nelle prossime esercitazioni; l’integrazione tra aeroplani di 4a e 5a generazione ha evidenziato il ruolo di task enabler che l’F-35 è in grado di svolgere al meglio, condividendo con gli altri componenti del package quanto presentato dalla sensor fusion del Lightning.
Quindi Italia protagonista grazie allo schieramento di assetti dell’ultima generazione, ma non solo; la partecipazione del G550 CAEW ha contribuito alla creazione di un ambiente elettronico sfidante, consentendo inoltre agli equipaggi di perfezionare il controllo di un elevato numero di assetti in un contesto combined e nel contrasto ad una minaccia SAM quanto mai realistica. Anche i piloti dei Typhoon hanno registrato un ritorno significativo dalla Blue Flag, eseguendo missioni in un ambiente ostile difficilmente replicabile in casa e sperimentando l’integrazione con sistemi C2 NATO e non.
A chiosa di questa validissima esperienza sottolineamo il pieno apprezzamento manifestato dal Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Generale di Squadra Aerea Alberto Rosso, che ha visitato il contingente italiano durante il Distinguished Visitors Day; le sue parole esprimono la totale soddisfazione per il ritorno addestrativo per gli equipaggi italiani, nonchè l’ennesima dimostrazione della capacità logistica di proiezione dell’Aeronautica Militare, maturata grazie all’alto livello di professionalità raggiunto dal team responsabile della manutenzione e all’efficacia della componente logistica. La conferma di tutto ciò è rappresentata dalla capacità di operare, al meglio, a migliaia di chilometri dalla propria base e nelle più disparate condizioni climatiche.